domenica 7 aprile 2013

FAQ_ Il progresso tecnologico migliora la vita dell' uomo? Determina un aumento o una riduzione dei posti di lavoro?


Per mezzo della tecnologia si produce di più con minor dispendio di tempo e con un minor utilizzo di risorse umane, perciò mi chiedo se i posti di lavoro vengano creati o ridotti.


Propongo alcuni frammenti dell' intervista al professor Luciano Gallino, sociologo esperto dei rapporti tra la tecnologia e il mondo del lavoro.

    Professor Luciano Gallino, secondo lei, stiamo andando verso una forma di disoccupazione tecnologica? In altre parole, è possibile che le nuove tecnologie portino non a un aumento, ma a una riduzione delle opportunità di lavoro?
    Bisogna intendersi:
    la tecnologia è essenzialmente un mezzo per fare due cose diverse. Da un lato si può cercare di produrre di più, anche molto di più, utilizzando la stessa quantità di forze di lavoro. D'altra parte, si può cercare di utilizzare le potenzialità della tecnologia per ridurre le forze di lavoro impiegate per produrre un determinato volume di beni o di servizi. E di qui viene fuori un’equazione molto semplice: fintanto che si riesce ad aumentare la produzione, il che vuol dire fintanto che si riescono ad allargare i mercati, la tecnologia non produce disoccupazione, perché la forza lavoro rimane costante e quello che si allarga sono i volumi di produzione, sono i mercati. I mercati, però, diversi tra di loro, variati come sono, non possono in generale espandersi all'infinito. Quando i mercati non possono più espandersi, la tecnologia viene impiegata prevalentemente per ridurre le forze di lavoro e incomincia a profilarsi lo spettro della disoccupazione tecnologica. Per evitare di ridurre le forze di lavoro e quindi di imboccare troppo rapidamente la strada della disoccupazione tecnologica, è stato inventato da più di un secolo lo strumento della riduzione degli orari di lavoro. Un tempo, all'inizio secolo, si lavorava 3000 ore l'anno, a metà del secolo circa 2500, e oggi la maggior parte dei lavoratori ha un orario medio annuo di 1600-1700 ore di lavoro. Questo è uno dei vantaggi della tecnologia, di poter mantenere occupate le persone riducendone la prestazione. Però l’equazione che ho sommariamente ricordato ha anche delle rigidità che non si possono ignorare. Se i mercati sono saturi, in qualche modo si tende a ridurre le ore di lavoro impiegate per realizzare quella tale produzione.
    Dove incidono di più le innovazioni? Sul lavoro industriale, su quello impiegatizio o su quello professionale?
    Con diverse modalità e in diversa misura
    incidono su tutti e tre i campi. Per quanto riguarda i tassi di occupazione in senso stretto, si può dire che così come l'industria ha imboccato la strada dell'agricoltura, che porta ad avere pochi punti percentuali di addetti sul totale della popolazione, così i servizi, o perlomeno gran parte dei servizi del terziario, stanno imboccando la strada dell'industria e quella precedente dell'agricoltura. Questo perché le tecnologie producono servizi di moltissimi tipi differenti con tassi di produttività rilevantissimi. Per quanto riguarda l'ambito strettamente professionale, che so, l'ambito del medico, dell'architetto, del designer, eccetera, forse sono meno rilevanti gli incrementi di produttività ed è invece rilevante la profonda trasformazione della professione in qualcosa di molto diverso in presenza della disponibilità di nuove tecnologie. Quello che è certo, è che non si può sperare di recuperare nei servizi quello che l'automazione sta eliminando in termini di forza lavoro nell'industria, perché i servizi sono automatizzabili esattamente come è automatizzabile la produzione di beni. Non tutti i servizi sono automatizzabili ma nemmeno tutti i beni sono automatizzabili, noi ci tagliamo ancora i capelli grazie ai servizi di un artigiano e nei due ambiti le cose continueranno ad essere in parte affidate alla mano umana, ma sta di fatto che una grandissima parte dei servizi è destinata a seguire la strada dell'automazione, esattamente come quella della produzione di beni.
    Come si ridefinisce con le nuove tecnologie il rapporto fra tempo libero e tempo di lavoro?
    Attorno alle nuove tecnologie ci sono molti equivoci per esempio che siano facilissime da usare, che uno possa imparare a utilizzarle da solo e così via. Se ci si pone in grado di saperle usare a livello professionale, le nuove tecnologie possono dare luogo a sorprese interessanti perché in molte ore della giornata possono portare a un qualche tipo di fusione tra lavoro e divertimento. Uno come me che usa moltissimo la rete per comunicare, per studiare, per lavorare, trova anche durante la giornata molti spunti di divertimento perché scopre nuove cose, si accorge di potersi muovere in un modo che prima non gli riusciva, ha delle sorprese dallo schermo, dalle reti, dalle comunicazioni che gli arrivano da tutte le parti del mondo. E d'altra parte, lavorando fuori ora quando uno cerca di divertirsi, può di nuovo scoprire che mentre apre un sito per divertirsi impara qualcosa che gli sarà utile sul lavoro; io lo considero nell'insieme uno sviluppo molto positivo perché rende il lavoro un po’ meno meccanico, meno ossessivo, e rende il divertimento più mirato, un po’ meno erratico. È una forma di ibridazione molto positiva e che moltissime persone, che incominciano a usare con capacità professionali la rete, stanno con loro spasso scoprendo.
    La flessibilità intellettuale riuscirà mai a creare nuovi posti di lavoro?
    Di per sé, la flessibilità intellettuale, come l'altra flessibilità di cui ci parlano ogni giorno, che consiste nell'accelerare l'ingresso e l’uscita delle forze lavoro dalle aziende, temo che di per sé non crei nuove forme di lavoro e meno che mai nuova occupazione.
    La flessibilità intellettuale è importante per cercare di trarre il meglio dalla tecnologia e, in particolare, dalle nuove tecnologie. In presenza delle nuove tecnologie, si corre continuamente il rischio di applicare strumenti nuovissimi, sia tecnici sia conoscitivi a vecchie procedure, vecchi modi di organizzazione del lavoro. Allora la flessibilità può essere molto importante per far sì che con le nuove tecnologie si facciano effettivamente cose nuove invece di cercare di automatizzare le vecchie, perché molte delle nuove tecnologie sono impiegate precisamente in questo modo, si accetta in qualche modo la vecchia organizzazione, il corso tradizionalmente assestato e si pretende di innestare qualche forma di nuova tecnologia. Questo è un grave errore perché non si ottengono gli scopi che si volevano, e per di più si contamina, si inquina, la reputazione delle nuove tecnologie. Dopo 1-2-3-5 insuccessi ci sarà sempre qualcuno che dice “Avete visto ? Abbiamo speso 10 milioni o 100 milioni o 1 miliardo per rinnovare tecnologia e organizzazione e adesso lavoriamo peggio di prima”. E questo avviene perché si è applicata una tecnologia nuovissima a un modello organizzativo vecchio. Se usando una buona dose di flessibilità intellettuale si riescono a modificare i modi di lavorare, il modo di costruire, i modi di pensare affinché siano sintonizzati con le nuove tecnologie, probabilmente si riuscirà sia a migliorare il lavoro sia a fare un uso congruo delle nuove tecnologie e chissà che non si incida anche positivamente sulle possibilità di occupazione

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